Giornata di studio Fap Acli “Anziani, Covid e sanità territoriale” 18 febbraio 2022 MOZIONE FINALE

05 Maggio 2022

Nel corso dell’intensa mattinata del giorno 18 febbraio us., organizzata da FAP ACLI, sono risuonate le parole relazione, prevenzione, vicinanza, presa in carico, continuità assistenziale, ascolto, rete, lavoro di equipe, condivisione, progettualità: parole che hanno tracciato con toni diversi l’urgente necessità di una riforma, non più procrastinabile.
L’evento ha rappresentato un’occasione importante per riflettere, sulla base delle esperienze e dei vissuti dei singoli cittadini anziani durante la pandemia da Covid e su quanto espresso dai recenti contenuti del PNRR in materia di medicina territoriale, ovvero, come sia possibile migliorare l’assistenza primaria e le insufficienze, manifestate dall’organizzazione della medicina del territorio.
Le interviste, poste in apertura dei lavori, hanno messo in luce, con particolare significatività, l’isolamento e l’abbandono sofferto dalle persone anziane, costrette a rimanere chiuse in casa o relegate in RSA, con l’impossibilità di avere contatti con i propri familiari. Sia nel contesto del domicilio che in quello istituzionalizzato, la carenza di relazioni sociali significative hanno generato, pur su piani e intensità diverse, un senso di generale abbandono.
Da questo spaccato sono partite, di seguito, le varie relazioni, che hanno cercato di dare qualche risposta, guardando al futuro e alla necessità di fare tesoro delle esperienze sin qui maturate, per poi cercare di definire un nuovo modello di salute e di medicina territoriale realmente capace di farsi carico delle fragilità legate al mondo della persona anziana.
La concretezza dei dati e delle proiezioni statistiche fornite dall’intervento del prof. Battiston professore di Fisica Applicata all’Università di Povo, hanno sottolineato quanto sia importante partire da una realtà oggettivamente nota, dalle sue dimensioni quantitative e non solo, per poter poi determinare la giusta consapevolezza circa la natura e le modalità delle limitazioni imposte ai cittadini. La corretta e ragionata raccolta dei dati ha consentito, poi, di fare proiezioni, all’interno delle quali definire approcci preventivi e comportamenti atti ad attenuare il fenomeno pandemico (vaccini, mascherine, distanziamento, ecc.).
L’approccio scientifico, quindi, ha permesso di dare forza e contenuto alle politiche di previsione e prevenzione. Nel corso della pandemia, infatti, non sempre ci sono stati comportamenti corretti e coerenti, rendendo, di fatto, più difficoltoso l’agire tempestivo ed efficace, atto ad attenuare le sofferenze dei cittadini di qualsiasi età.
Chiusure, aperture, restrizioni sulla vita quotidiana di tutti, specie sulle persone anziane fragili, potevano essere meglio affrontate se i dati evolutivi della pandemia da Covid, con le sue varianti e con le conseguenti varie fasi, fossero stati raccolti con maggiore trasparenza.

La conoscenza e la certezza della metodologia, seguite dalla raccolta dei dati, rappresentano uno strumento indispensabile per la programmazione sanitaria, ai fini di renderla sempre più efficace non solo nel tempo della pandemia, ma più in generale anche nell’innovazione dei sistemi sanitari.
Le altre due relazioni, che si sono succedute, quella del dott. Giordani, Direttore UPIPA, sulla realtà e sul futuro possibile delle RSA e del dr. Trimarchi Dirigente Medico Unità operativa Cure Primarie e Coordinatore del Gruppo di Lavoro “Cubo di Rubik, sul futuro della medicina territoriale in considerazione delle indicazioni, fornite dal PNRR, hanno avuto un approccio simile nel “pensiero guida” e sui concetti ispiratori, a cui la riforma del settore dovrebbe attenersi.
L’analisi delle problematiche e le insufficienze presenti, sia nel sistema sanitario che in quello socio sanitario (RSA), ha evidenziato le criticità presenti nello stato in essere.
Si è rilevata la necessità di un cambio di paradigma, in cui sociale e sanitario si integrino e si rafforzino dentro il contesto di un nuovo approccio ai temi della salute.
Si sono evidenziate l’inadeguatezza di un modello assistenziale, centrato solo sulla cura delle patologie acute e l’urgenza di transitare verso una riforma, in cui le dimensioni portanti siano quelle della promozione della salute, della prevenzione e della riabilitazione.

La grande sfida, rappresentata dall’invecchiamento della popolazione e dalla conseguente crescita delle malattie croniche e della parziale, o totale, non autosufficienza, non può essere affrontata adeguatamente con approcci di medicina di attesa e con interventi attivati solo in presenza di un patrimonio della salute già depauperato.
Se la salute non è solo assenza di malattia è necessario costruire un nuovo modello capace di superare la dimensione biologica della dicotomia salute-malattia per affrontare seriamente politiche di prevenzione ispirate ai determinanti della salute, per costruire un nuovo approccio medico-paziente, per rigenerare elementi di reale vicinanza alle fragilità con un approccio olistico di presa in carico e continuità assistenziale.

In questo nuovo contesto:
La relazione acquisisce una dimensione centrale nel percorso di cura.
La presa in carico diviene integrante, in quanto basata sulla relazione di cura.
L’approccio deve essere di natura biologico, psicologico e sociale.
Le reti di cura debbono quindi essere integrate con le reti sociali e sanitarie.
Il territorio si dovrà dotare di nuove figure professionali, che dovranno lavorare all’interno dell’equipe territoriale.
La continuità delle cure dovrà essere garantita attraverso una forte condivisione dei percorsi di cura tra ospedale e territorio, superando le vecchie ed inefficaci logiche a “silos” con la conseguente frammentarietà delle cure.

La medicina del territorio dovrà, quindi, divenire proattiva, di iniziativa e non solo riparativa: importanti appaiono i Distretti socio-sanitari e le stesse Case di Comunità, decentrati in modo equo su tutto il territorio. La medicina del territorio, per essere medicina di vicinanza e di relazione, dovrà supportarsi su modelli organizzativi altrettanto performanti e vitali.
Da qui discende la scelta organizzativa dei distretti non più sanitari ma socio-sanitari o sociali, decentrati sul territorio e l’articolazione delle Case di comunità, anch’esse equamente distribuite sugli ambiti territoriali, come luoghi/centri di salute, in cui non si attuano solo attività di cura o prevenzione, ma anche politiche di inclusione sociale, di superamento delle iniquità, di rispetto della persona e della sua dignità. Luoghi, dunque, di partecipazione e costruzione di welfare di comunità, come luoghi in cui si concretizzino l’aiuto e la semplificazione delle modalità di accesso alle cure.

IN CONCLUSIONE:
Una casa di comunità che accolga e promuova. Dovrà essere la sede d’incontro delle varie professionalità sanitarie e sociali (MMG, pediatra, specialista, geriatra, infermiere, assistente sociale, operatore assistenziale e altre figure) nonché un punto di riferimento dell’associazionismo locale e del volontariato.
Una medicina del territorio che sappia valorizzare le cure intermedie e potenziare l’intervento assistenziale a domicilio con capacità flessibile e differenziata in base ai livelli di intensità di cura. La necessità, quindi, di creare ospedali di comunità per garantire la continuità assistenziale ed i percorsi riabilitativi, utili ed indispensabili, prima di ritornare a domicilio dopo una dimissione ospedaliera precoce.
Una medicina del territorio capace di superare l’attuale divisoria fra sanitario e sociale, comprendendo e coinvolgendo anche il mondo delle RSA e di altre realtà simili, per riportare il cittadino al centro non soltanto di eventuali percorsi di cura, ma soprattutto in quelli di mantenimento e difesa della propria salute.