IV domenica di Pasqua 2022

07 Maggio 2022

Commento a cura di Don Cristiano Bettega, Accompagnatore per la Vita Cristiana delle ACLI Trentine

Dal Vangelo secondo Giovanni (10,27-30).

In quel tempo Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

 

Sono stato in Sud Sudan alcuni giorni nel mese scorso. Tantissime le cose che ho potuto osservare un po’ più da vicino, tantissime le cose che mi hanno colpito. Tra le tante, questa: un pomeriggio ero in aperta campagna (certo, non così verde come le nostre, ma pur sempre campagna, e bellissima, ricchissima di arbusti, alberi, terra da coltivare…) quando ad un certo punto mi è passata accanto una mandria di vacche, accompagnata dal suo pastore: un ragazzo che su per già poteva avere 15 anni, con al collo … un kalashnikov. Esatto, proprio un kalashnikov. Inevitabile l’associazione con l’immagine del Pastore buono, che la liturgia oggi ci propone. «Nessuno le strapperà dalla mia mano», dice Gesù di quelle pecore che siamo noi: «nessuno le strapperà dalla mia mano». Certo, le vacche di quel ragazzo sudsudanese possono sentirsi al sicuro, se il loro pastore è armato di fucile; ed è fuori dubbio che, se quel fucile lo porta al collo, lo sa anche usare. E Gesù? Ve lo immaginate Gesù con un kalashnikov al collo? No, è proprio tutto un altro stile, tutta un’altra storia. Se l’uomo si mette al collo armi come fossero gioielli – e la TV continua a sbatterci in faccia immagini di questo tipo da due mesi a questa parte – Gesù l’unico gioiello che porta su di sé è la sua croce, nient’altro che questa. Quella croce che è segno del suo amore, della sua capacità di perdono, della sua premura, della preoccupazione infinita che ha per noi, pecore del suo gregge. Un pastore totalmente disarmato e a mani nude; o forse meglio: un pastore che trova la sua forza esclusivamente nell’amore infinito con cui si preoccupa del suo gregge, di quelle pecore per le quali continua a dare la sua vita. Quanto abbiamo ancora da imparare da questo stile! Eppure non c’è scelta: se ci riconosciamo pecore del gregge di Gesù, il suo stile deve diventare il nostro; a piccoli passi, mettendo in conto tutta la fatica e i ripensamenti, ma sapendo che la sua compagnia non verrà mai meno.