Il Giudice delle Leggi ha giudicato incostituzionali le norme che escludono dal bonus bebè nazionale i genitori stranieri con permesso di lavoro, a prescindere dagli anni di residenza.
Cgil Cisl Uil e Acli: impossibile ignorare questa decisione; anche la misura trentina va adeguata.
Si fa sempre più fragile l’impianto normativo su cui si regge l’assegno di natalità provinciale, che esclude ad oggi tutte le famiglie straniere non residenti in Italia da almeno dieci anni e non titolari di un permesso di soggiorno di lungo periodo (che spetta agli stranieri che soggiornano regolarmente da almeno 5 anni). Ieri la Corte Costituzionale ha dichiarato infatti incostituzionali le norme che escludono dalla concessione del bonus bebè nazionale e dell’assegno maternità “i cittadini di paesi terzi ammessi a fini lavorativi e quelli ammessi a fini diversi dall’attività lavorativa ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno di durata superiore a sei mesi. Queste norme, infatti, contrastano con gli articoli 3 e 31 della nostra Costituzione.
La sentenza segue quanto deciso nel settembre scorso dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha stabilito che la legge italiana che impone ai cittadini stranieri il possesso del permesso di lungo periodo per accedere alle misure di sostegno economico alle famiglie è in contrasto con il diritto comunitario.
“La scelta della Corte costituzionale è importante e non scontata – commentano i segretari provinciali di Cgil Cisl Uil, Andrea Grosselli, Michele Bezzi e Walter Alotti, con il presidente delle Acli trentine, Luca Oliver -. Anche se quella sentenza non si applica in modo diretto al bonus nascita trentino è evidente che se la norma provinciale prevede gli stessi criteri ritenuti incostituzionali sarà essa stessa incostituzionale. Ci auguriamo che la Giunta provinciale non metta la testa sotto la sabbia, prenda atto di questa importante sentenza e modifichi motu proprio la legge trentina, rimuovendo un vincolo che discrimina tra bambini italiani e bambini stranieri”.
La decisione della Corte di Giustizia di settembre aveva già previsto che è direttamente contrastante con il diritto dell’Unione ogni norma nazionale che preveda il vincolo del permesso di lungo periodo per l’erogazione di assegni di carattere familiare. Di conseguenza un qualsiasi giudice potrà disapplicare le norme regionali e provinciali che contengano lo stesso vincolo, applicando il diritto europeo.
Non si dimentichi inoltre che il Parlamento italiano ha già modificato il proprio orientamento per le misure a sostegno della famiglia stabilendo che il nuovo assegno universale è un diritto di tutti i cittadini residenti nel nostro Paese da almeno due anni di residenza. Anche diverse regioni, come Veneto e Friuli Venezia Giulia, hanno previsto requisiti minimi di residenza per accedere alle misure di sostegno al reddito.